Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

L’ora di italiano

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L’altra sera ho chattato con una mia ex prof delle superiori su Facebook, una procace 40enne che mandava in tilt i nostri ormoni e causava scompensi emozionali non indifferenti: davanti a gerontoprofessoresse finalmente una boccata d’aria fresca.
Il problema è stato il suo arrivo di lei solo al 5^ anno (periodo di solito riservato alla preparazione della maturità, dove nessun consiglio sano di mente cambierebbe dei prof ma vabbè) e la sua poca esperienza: insomma, una delle prime classi macellate ecco.

Si sa come finisce con i prof giovani: arrivano e, non riuscendo a calibrare programma e capacità della classe, o ti sfondano o ti lasciano in panciolle. Noi ce la cavammo abbastanza bene ma oramai poco conta: la dolce 40enne è tornata tra i sassi di Matera, altro giro altro regalo.

Mentre mi faccio la barba con il rasoio elettrico ripercorro le ore di italiano degli anni passati.
Sono passato, in questi anni di istruzione, anche tra le mani di una simpatica nanetta delle elementari che saltellava e aveva il vizio (maledetto) di dire “finiamo tra 5 minuti”: come al solito i 5 minuti diventavano ore e si bestemmiava in greco antico misto al sanscrito.

Alle medie avevamo la Gerarca della Penna: temi a più non posso, sia in classe che a casa, cartine mute di geografia a memoria (che cosa servano me lo devono ancora spiegare; vedi anche imparare l’architettura del Duomo di Modena a macchinetta per Artistica), grammatica scavata e approfondita come cercatori d’oro, flatulenze senza controllo e abiti che non avrebbe portato nemmeno mia nonna con la diarrea.

Alle superiori, prima di giungere alla procace insegnante di Matera, abbiamo avuto la moglie di un medico: si scandalizzava a volte per minuzie (un bigottismo così credo che sia da Guiness dei Primati: lo scandalo riguardava il libro Ambarabà di Culicchia), adorava I Promessi Sposi e Dante ma ancor di più l’ascella pezzata.
Sotto le sue magliette si creava un eco-sistema putrido e maleodorante che avrebbe steso un caprone in calore ad un miglio di distanza: normale che molti avessero scelto la seconda o la terza fila ;).
Di quelle lezioni, oltre alla vogliosa passione con cui spiegava le indecenze di Renzo e Lucia, ricordo anche lezioni passate nel buio più totale per decantare le poesie e il giornalino di classe (esperienza nata e conclusa nello stesso anno, io ero stato nominato caporedattore). Alla fine, tolta la voglia salterina, non era malaccio.

Altro professore degno di nota è stato un uomo, di origini meridionali, che aveva radicato nel fare il meno possibile il suo modus vivendi: molto interessanti le sue lezioni di storia, buone quelle di italiano ma molto meno ingasato rispetto ai precedenti.

Facendo un resoconto l’ora di italiano, per come viene bistrattata e stiracchiata in un Tecnico Commerciale, alla fine ha portato anche a frutti interessanti: poso il rasoio elettrico scarico e ripenso a tutte le cose che ho imparato, volente  o nolente, durante tutte quelle ore.

Forse, se almeno metà della gente fosse stata attenta, oggi eviteremmo di leggere certe bestialità nella blogosfera (compresi e non esclusi certi universitari che vivono di abbreviazioni di sole consonanti, di k e di X per indicare il per); se la nostra lingua ha tanti simboli e tanti utilizzi perchè dover fare delle stupide economie? Usiamo al massimo questo prezioso strumento che ci è stato donato e che, naturalmente, abbiamo appreso fin dalla nascita: la lingua.

Mi rendo conto che i prof non sono tutti uguali (quindi, al limite, si può odiare quella materia) però, tornando al nostro privato, un buon italiano rimane sempre il miglior biglietto di presentazione. Cerchiamo di non stamparlo su carta infima: consultiamo il dizionario ogni tanto 😉 .

Marco

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