Per una persona che vive nel mondo civile può sembrare eccessivo l’amore per una mela. Oggi vi raccontiamo una storia: la storia di una mela. Buona lettura!
Il Mac piace. Punto. Chi non ce l’ha tappezza i propri gadget tecnologici con gli adesivi della Mela (magari trovati nella scatola dell’iPod), chi lo odia utilizza Linux (ma a quel punto odia anche Windows),
alcuni traboccano dalle parole di Steve Jobs, altri ancora dormono fuori dagli Apple Store per poter essere i primi ad avere l’ultima meraviglia. Assatanati oppure curioso fenomeno di costume? Vediamolo insieme, buona lettura!
Molti pensano che la comunità Mac sia fatta da impediti digitali che, se tolti dal loro MacBook, non sanno nemmeno come stampare una pagina. In realtà la comunità Mac adesso sta reclutando tantissimi switcher, ovvero utenti stanchi delle vessazioni di Windows e pronti a qualcosa di nuovo.
In tutto il mondo il Mac viene usato da creativi e professionisti (il 90% dei documentari presentati agli Oscar erano montati con Final Cut Studio), in America viene considerato il computer delle famiglie.
E da noi? Da noi molti non ne sono nemmeno a conoscenza, chi lo conosce e lo prova sa che esiste una sostanziale differenza.
Il Mac è come l’amore, è libero dai vincoli: smonti una chiavetta e via, selezioni due o tre file e li masterizzi subito (senza dover utilizzare programmi intermedi), ti guardi un film mentre iDVD sta codificando e masterizzando il video delle tue vacanze… Ecco il vero multitasking, la vera e concreta possibilità di passare da un programma all’altro in scioltezza e senza rallentamenti; la libertà di fare ciò che vogliamo senza compromessi, in modo trasparente.
Essere Mac non è soltanto una velleità sessantottina, è un modo di vivere easy senza complicazioni inutili e andando direttamente al punto. Il Mac ha una storia, i suoi modelli, le sue strategie, il suo approccio al mondo informatico che ha delle differenze con Windows, è innegabile. Nonostante adesso stiamo vivendo un periodo di contaminazioni il Mac ha i suoi programmi e le sue procedure (e, detto tra di noi, va bene così: un programma specifico per una piattaforma andrà sempre meglio di un adattamento mal riuscito).
Avere un Mac vuol dire affezionarsi ad un modo di fare e vedere le cose a forte impatto grafico, semplici da relizzare e funzionanti. Spesso anche la migliore idea se trova un programma frustrante ne risente; il suo utilizzo in ambiti delicati come la sicurezza danese o in medicina ne dimostrano la maggiore stabilità ed affidabilità.
Il design è innegabile, ha un impatto superiore rispetto agli altri prodotti: è curato, funzionale e attento alle esigenze dell’utente, niente è fuori posto. La cura nei particolari, che spesso si ritrova anche nell’assistenza telefonica, è una delle cose più apprezzate di questo prodotto: esser Mac quindi vuol dire evitare di fare le cose alla carlona ma curarle, accudirle e migliorarle il più possibile.
É la storia di una mela che ci accompagnato per tanti anni (compresi quelli neri, dove venne cacciato Jobs dalla sua stessa società e se ne videro di tutti i colori), regalandoci sempre un modo nuovo di fare e di vedere le cose. Il Think different è mutato in tutto questo tempo (adesso i computer Mac condividono componenti validi anche per Windows) ma non ha tradito la sua anima: massima funzionalità e garanzia del risultato appena fuori dalla scatola.
É la visione di quello che sarà, con lo sfruttamento delle nuove tecnologie e un approccio basato sull’esperienza utente (anzichè su quella dell’ingegnere che l’ha progettato), un modo di pensare alternativo che negli anni ha portato a tante piccole rivoluzioni: la porta USB portata da Intel, l’abolizione del floppy e dei lettori ottici, i computer all in one a tutto schermo, l’aumento di programmatori che realizzano programmi per Mac, l’adattamento alla USB 3.0 e il lancio della nuova interfaccia Thunderbolt, che surclassa la USB 3 a mani basse (il costo delle periferiche Thunderbolt è proibitivo, ma questa è un’altra questione).
Successivamente l’abolizione di tutte le porte a favore della USB-C, il futuro hub universale.
Il passaggio non è facile (almeno molti lo credono) e il prezzo è da sbarramento, ma non troppo: il Macbook bianco (mandato in pensione qualche tempo fa), icona dello studente al college, costava sempre meno di 1.000 euro (e, come già affrontato in questo blog, sappiamo che questa è la cifra per un portatile decente per via della batteria, componenti e via elencando).
Ad oggi il Macbook base lo trovo molto limitante, con una sola porta USB C: capisco che faccia da jolly ma frena molto nelle attività quotidiane. Richiede l’acquisto obbligato di una hub da 100 euro circa, Amazon abbonda di queste periferiche.
Direi che un buon Macbook entry level sia l’Air: piatto, con un numero di porte necessarie alle attività comuni, leggerissimo e con un’autonomia da 8 a 10 ore senza ricarica: per uno studente universitario direi che sia più che sufficiente, considerando le suite iWork (Pages, Number e Keynote) e iLife già incluse. A livello di produttività lavorativa e personale permettono un risparmio immediato su Office e consentono di realizzare prodotti e presentazioni di ottimo livello, senza sfigurare davanti alla suite più blasonata.
Esistono gli sconti Education e la possibilità di trovare ottimi usati su eBay o altri siti (molti lo cambiano al cambiare della moda, per cui sono praticamente nuovi): ormai il Get a Mac è stato sdoganato e sta riempiendo gli atenei universitari, arrivando anche nelle case di tanti appassionati.
Anche AutoCad, il programma leader per l’architettura, sta attuando una conversione al Mac: ormai è una famiglia che si sta allargando sempre più e prolifera nuovi prodotti, grazie anche a tante piccole software house che, con cuore passione, realizzano piccoli programmi economici per le più svariate esigenze.
Ora Apple ha raggiunto e superato il Grande Fratello che tanto combatteva, stracciandolo: con una capitalizzazione da 700 miliardi di dollari ora la mela morsicata vale come Amazon, HP e IBM messe insieme quasi al raddoppio. Mica male per Golia che doveva sfidare il gigante Big Blue.
Certamente l’iPhone ha avuto una notevole influenza, diventando leader di mercato in pochi anni e guidando le mosse dei concorrenti. L’iPad, successivamente, è stato il colpo di grazia: l’azienda che rincorreva il gigante si è imposta definitivamente sul mercato mobile, sfruttando una fetta di mercato illibata (i dispositivi presenti non convincevano per vari motivi, stesso discorso dei device pre-iPod) e dettando legge su misure, durata della batteria e prestazioni del touch screen.
Un Mac, sia ben chiaro, non è una macchina perfetta, è assolutamente migliorabile e perfezionabile sotto vari punti di vista. É un buon connubio tra un oggetto di design e un computer per poter lavorare senza troppe distrazioni dimenticandosi di dati, tecnicismi e similari con un sistema operativo in sottofondo che scompare per lasciare totalmente spazio alla grafica, alla creatività, ai propri pensieri.
E io, fin quando l’ADSL resisterà, continuerò a raccontare storie di Mac, dei suoi protagonisti e delle novità che riguardano questo variegato universo: il sogno visionario di Steve Jobs è ora diventato realtà e la differenza ora si sente davvero, ad ogni livello.
Il mio augurio è di proseguire questo viaggio nel mondo della Mela insieme ai lettori del mio blog, che ogni giorno mi dimostrano il loro affetto e la loro passione: questo è veramente Think Different.
Marco
Commenti su: "La storia di una mela" (1)
[…] siamo fan della mela, cosa rappresenta: La storia di una mela e Windows? No […]