Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

alice in wonderland_tim burton

Alice è tornata nella tana del Bianconiglio, dopo 10 anni e in una società ottocentesca bigotta e bacchettona. Ha perso il padre, crede di aver sognato nel primo viaggio nel paese delle meraviglie, adora i conigli con il panciotto: ecco Tim Burton alle prese con il seguito (in 3d) di uno dei classici più amati, buona lettura!

Tim Burton, occhialini a parte, si è concentrato sulla trama attingendo dal film precedente e dai vari libri scritti dall’autore del primo, con dovizia di particolari. E si vede.

Allo scintillio del tridimensionale si è preoccupato di costruire una solida storia curata nei minimi dettagli, dal castello della regina rossa di cuori (con una testa a forma di cuore come anche il castello, circondato da cuori in modo incredibile) alla regina bianca (sembra la copia della sposa cadavere), una purissima Hathaway emaciata e dipinta con trucco scuro, che si muove con grazie e movimenti da carillon.

Burton adora esasperare il bene e il male con siginificati sottesi al film: ecco quindi che i cuori diventano il simbolo di un amore che in realtà non c’è (la regina rossa ama un cavaliere ma non è ricambiata), la regina testona è circondata da persone che si fingono fenomeni da baraccone per aver salva la vita, l’urlo “tagliatele la testa” la quinta volta diventa già un tormentone ironico.

Note di rilievo: con il 3d si gode da matti la caduta nel magico mondo di Alice e la testa dello Stregatto che buca lo schermo e ci sorride. Da notare che il Bianconiglio qui parla e fa da guida, non limitandosi soltanto a dire come nell’originale “è tardi è tardi!” mentre l’attore feticcio johnny depp diventa il famoso cappellaio matto con occhi verdi stile vipera e una capigliatura rossa fuoco stile fratelli marx.

Nel complesso il film risulta meraviglioso (grazie anche alle varie connotazioni di tim ai vari personaggi), la trama avvincente ci comunica la crescita di alice e bla bla in puro moralismo disney, seppur sferzato dalle note decadenti e gotiche di burton che riafforano appena la storia lo concede.

La parte musicarella qui scompare per dare spazio ad una storia d’ampio respiro complessa, per via dei vari spostamenti e ostacoli da affrontare: con un tiranno che ha un fossato intorno al castello pieno di teste c’è ben poco da saltellare a chiappe aperte.

La Hathaway qui viene resa una specie di icona sacra, sia nei gesti che nel ragionamento, rendendola più comica che non una guida spirituale. Il “bianco assoluto di Burton” (un colore che supera la purezza del bianco Carrara 3P) riaffiora perentorio ricordandoci per chi tifare, non tanto per i gesti (spostarsi quasi lievitando e sbattere ciglia in continuazione non aggiunge valore al racconto) quanto per i pensieri e le azioni che compie, che la rendono una guida saggia per il popolo alla pari del defunto Artù.

I personaggi sono stati riportati splendidamente ed arricchiti di varie sfumature, creando così una storia nuova e non un remake del precedente capitolo. Un film sicuramente da vedere, un’emozione genuina regalata da un visionario eclettico che, pur limitandosi per i canoni Disney, incanta ugualmente.

Non raggiunge il connubio perfetto tra storia e personaggi creato da La sposa cadavere e manca l’esplosione di colori di Willy Wonka, ma nel complesso risulta un buon tentativo per il mondo disneyano. Anche se, quando produce per Warner Bros che evidentemente impone meno limiti e restrizioni, è davvero tutta un’altra cosa.

Marco

Commenti su: "Alice torna dal Bianconiglio" (1)

  1. […] tempo è passato dal primo film Alice in Wonderland e, onestamente, la pubblicità in questo caso è stata decisamente ingannevole: tutto faceva […]

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