Dopo Trainspotting Danny Boyle propone Leonardo DiCaprio in una veste inedita: analizziamolo insieme, buona lettura!
La trama
Uno studente americano con pruriti adolescenziali in corso decide di fare backpacking (parti con uno zaino e via, ndr) e di recarsi in Thailandia, meta Bangkok.
Trova rifugio in uno squallido ostello, dove un pazzo gli annuncia un’isola perfetta dove si vive in pace, un Eden terrestre, il paradiso.
Lascia una mappa a Richard (Leonardo DiCaprio) che, coinvolgendo una sexy coppia francese dirimpettaia, lo segue in questa folle avventura. Una volta arrivati sull’isola, però, scopriranno che mantenere il segreto di questo Eden ha un prezzo.
E il prezzo è molto salato, più di quanto potessero immaginare.
Il film
Per liberarmi di pregiudizi e concetti residui ho letto varie recensioni, per poter formulare un giudizio realmente critico sulla pellicola.
Riscontrare che alcune impressioni collimavano con perfetti sconosciuti mi ha confortato, nel senso che è un film atipico e merita una riflessione in più (nonostante l’apparenza inganni).
Inizia come un film popettaro della domenica pomeriggio, sfocia nell’horror, thriller psicologico, avventura… le citazioni si sprecano, non conoscendo il regista si potrebbe pensare a Tarantino per qualche secondo.
La forza delle immagini e la fotografia (come già dimostrato ampiamente in Trainspotting, The Millionaire e 127 ore) non si discute: entriamo nel vivo dell’azione, con primi piani e giochi di luce magistrali, nulla da obiettare.
Quello che lascia un po’ perplesso lo spettatore è la credibilità in se della situazione: vestiti perfetti, lavati e stirati, nessun dottore nella “comune” sessantottina, sempre belli come il sole nonostante i raggi tropicali ustionanti e così via.
Un altro dubbio legittimo nasce dalla scelta musicale, non sempre appropriata: se Moby ci riporta ad atmosfere ipnotiche e oniriche, adatte ad un contesto simile, le All Saints e similari ci riportano in una discoteca di Rimini ad agosto.
Decisamente fuori luogo, non trovate? Ricorda quei film di Boldi e De Sica dove bisogna piazzare a qualunque costo Hit Mania Dance per sculettare e dimenare i cocomeri, altrimenti non ci si diverte.
Il protagonista, dopo aver “inzuppato il biscottino” dove capitava, si ritrova isolato nella giungla per sottrarre la mappa ai nuovi arrivati: la segretezza dell’isola rimane fondamentale.
A questo punto assistiamo ad una sequenza inquietante, dove entriamo nella mente di Richard ed assistiamo ad una sorta di videogioco stile Playstation (scopiazzato e adattato da DiCaprio stesso, notare bene): il cambio di mano si sente e ne avremmo fatto molto volentieri a meno. È una tamarrata di cui nessuno, credetemi, avrebbe sentito la mancanza.
Stiamo entrando nella mente del protagonista, che trasforma il recupero della mappa in un videogioco per tenersi occupato e non impazzire, e ci ritroviamo in una sorta di Donkey Kong con punteggi, nuvolette di fumo e pixel. Anche no.
Per il resto la storia mostra l’egoismo e l’individualismo puro e cinico che si nasconde dietro all’isoletta felice, dove si arriva ad abbandonare un compagno agonizzante in cancrena pur di non sentirlo soffrire.
Qui Boyle rientra nelle sue corde e infatti ci troviamo a nostro agio, tutto entra a regime e scorre liscio come l’olio.
Concludendo

Segni di inizi anni 2000: una casella di posta da 3 MB!!
Al di là delle conseguenze giudiziarie che il film ha portato alla 20th Century Fox (hanno dovuto spianare a zero la spiaggia dell’isola di Ko Phi Phi nel Mare delle Andamane, con relativa causa per danni vinta dagli isolani nel 2006), la pellicola non è malvagia.
Il tentativo, seppur breve, di trasformare il film in un videogioco, risulta patetico e fuori contesto rispetto alla cifra stilistica e narrativa della pellicola.
Ma, sapendo di cosa è realmente capace Danny Boyle, possiamo considerarlo un vezzo giovanile, una voglia di sperimentare e nulla più.
Seppur interminabile è una breve sequenza su un film che dura 120 minuti, è una leggerezza perdonabile.
Il senso di smarrimento, casomai, è rinvenibile nella trama: a volte il regista si perde con i suoi personaggi, non tratteggiandoli a sufficienza come nel caso di Françoise (un’innocente e sensualissima Virginie Ledoyen) o del suo compagno.
Boyle soffre della loro stessa confusione e, dopo un ottimo carico di tensione, vira verso un finale placido e tranquillo, un ritorno al porto natio senza stravolgere le aspettative.
Si avverte un certo senso di smarrimento e confusione, che probabilmente ha inciso sulla valutazione generale del film.
Rimane, in ogni caso, una visione piacevole, un buon esercizio che ha aiutato la crescita del regista verso i capolavori successivi come 127 ore.
Merita sicuramente uno sguardo: fotografia e inquadrature sono tutt’altro che banali e sono degne di nota.
Tratto dal romanzo di Alex Garland.
Voto: 8/10
Marco
Rispondi