Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

Cose nostre malavita

Cose_nostre_malavita_02 Robert De Niro si presenta a noi come un mafioso pentito, ha tradito tutta la “famiglia” e ora è sotto il programma testimoni dell’FBI. Buona lettura!

La trama

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Robert De Niro e famiglia si trasferiscono in continuazione per evitare i sicari della mafia, lui adesso è un pentito e la sua testa vale 20 milioni di dollari.
La famiglia “respira” l’ambiente rissoso e litigioso della mafia e ha reazioni esagerate per piccoli torti, fino ad arrivare ad una sparatoria vera e propria.

Il film

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Questa pellicola è prodotta da Martin Scorsese, già regista de “Quei bravi ragazzi” (che tra l’altro viene citato anche nel cineclub che compare nel film) e si propone come ideale continuazione della vita del boss che abbiamo visto nel primo film.

In senso lato Jimmy del primo film capisce che pentirsi e fare i nomi della famiglia è l’unica soluzione sensata e si pente, entrando nel programma di protezione testimoni dell’FBI.

La regia è strutturata in maniera analoga a “La vita è bella“: la prima parte del film è ironica e divertente mentre la seconda vira sul drammatico/thriller e cambia decisamente tono, dimostrando la versatilità di Luc Besson dietro alla macchina da presa.

I personaggi sono molto credibili e ben interpretati, Robert De Niro è magistrale nella sua parte e non lascia spazio al minimo tentennamento: è sicuro di sè ed è spietato e crudele davanti alle ingiustizie. I suoi metodi non proprio ortodossi risolvono piccoli torti cittadini (come l’acqua marrone a causa dei fertilizzanti) e la sua mano diventa “purificatrice” dei peccati dei cosiddetti “buoni”.

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La sua copertura è, stavolta, quella dello scrittore e in quella macchina da scrivere riversa la sua intera vita, ripercorrendo le scorribande e la sua adolescenza con nostalgia e dovizia di particolari. La moglie, interpretata dalla Pfeiffer, è il suo alter-ego al femminile e non è assolutamente da meno, dimostrando la stessa determinazione e durezza di carattere.

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Ciò che colpisce, tuttavia, sono i figli che già da giovanissimi recepiscono una violenza spietata: la figlia quasi ammazza un ragazzo con una racchetta da tennis perché ci stava provando con lei e il figlio tredicenne entra nel racket delle sigarette e affini nella scuola in cui è arrivato.

La fotografia e le musiche sono impeccabili e ben sottolineano i vari momenti all’interno della pellicola. Violento e a tratti sanguinario ma mai splatter o volgare, mai eccessivo. Complimenti.

8 su 10.

Marco

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