Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

La vita di Pi

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A Natale è bello trovare film che riescano a scaldare il cuore. Nel 2013 il fenomeno emergente è stato firmato Ang Lee e si chiama Vita di Pi: analizziamolo insieme, buona lettura.

Il Time lo definisce “il nuovo Avatar”; concordo, sottolineando però che è stata rimossa tutta la violenza sanguinaria ed insensata che affolla il finale del paragone. È un film riflessivo, basato sulle metafore e sulla comprensione di qualcosa di più grande, non una semplice avventura con quattro animali parlanti.

La trama

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Un ragazzo indiano nasce in uno zoo e sviluppa un rapporto profondo con la natura e le varie religioni (induismo, cattolicesimo e islamica).
Mentre sta per trasferirsi in Canada una violenta tempesta nel Pacifico lo relega su una barca con una tigre del Bengala, costringendolo a sopravvivere e a difendersi da questa “predatrice di uomini”. L’esperienza si trasformerà nel viaggio della sua vita alla scoperta di se stesso.

Come lo vediamo

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Panoramiche sensazionali, il cielo che si specchia nel mare e le invitanti luminescenze notturne rendono le ambientazioni semplicemente sensazionali, straordinarie e coinvolgenti. Le musiche accompagnano e ci cullano in questa avventura per la vita, dove nasce la voglia di sopravvivere e di lottare per crescere interiormente. Questa dimensione tra realtà e sogno viene messa in dubbio e lascia lo spettatore aperto e libero di credere quello che preferisce, l’occhio del regista ci regala visioni oniriche coloratissime che ci riportano ai nostri sogni più reconditi.

Sull’imbarcazione, oltre alla tigre e a Pi (abbreviativo di Piscine, una nota piscina francese) troviamo una zebra, una iena e un orango tango (che fanno parte della storia e diventano raffinate metafore per la seconda). Il dover sopravvivere in mare per giorni (seppur con abbondanti viveri per 30 uomini) porta il ragazzino a mangiare pesce (lui è vegetariano), ad adattarsi a convivere con una tigre spingendosi ad addomesticarla.

Le metafore

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La storia secondaria illustra come la prima sia una sofisticata metafora della cattiveria e crudeltà umana, spinta ai beceri limiti da una totale mancanza di valore per la sacralità della vita. Il viaggio che Pi compie è un viaggio prima di tutto alla ricerca di se stesso; lui stesso cerca di abbracciare quante più religioni possibili per aprirsi al mondo e non avere una visione ristretta e limitante delle cose.

Il sottotesto della profonda religiosità indiana e del dolore che questo ragazzo prova, trasformandosi poi in forza per riemergere, caricano il contesto di un significato più penetrante e spirituale di quanto ci viene mostrato. Il film ha un ritmo che segue il respiro del ragazzo, le sue emozioni, la sua mente proponendoci scenari unici dove a prevalere, oltre al ragazzo, è la forza devastante della natura.

Il giudizio finale
Elegante e sofisticata metafora di vita e morte, orgoglio e rinascita, speranza e vittoria. La fotografia raggiunge livelli altissimi e propone visioni ed inquadrature composte con cura maniacale; la storia del ragazzo è commovente e la parte “naturalista” dove gli animali sono protagonisti ci può insegnare tante cose su di loro, in particolare la differenza tra istinto e crudeltà. Un grande felino uccide per fame, non per cattiveria o crudeltà; l’uomo uccide (nei casi malati) per sadico piacere, volendo soddisfare il sottile potere di decidere della libertà altrui.

Semplicemente un capolavoro.

Voto 10/10.

Marco

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