A volte mi chiedo come possa ancora riporre fiducia in film dove propongono il matrimonio come tema portante.
L’ultimo film “sposalizio” che mi ha fatto ridere è stato Una notte da leoni (per le trovate assurde, se non altro): eppure, vedendo quella gran figlia della Bullock, ho deciso di spingere il pollice sulla sua immagine e di noleggiare il DVD. Ecco com’è andata: buona lettura!
Non mi aspettavo certo un visionario film dei fratelli Wachowski (trilogia di Matrix e Speed Racer) o un capolavoro Monicelliano (trilogia Amici miei, Il marchese del grillo): mi sarei accontentato di una commedia che invitasse alla riflessione stile Verdone.
Il film, per fare un riassunto spicciolo, parla di una donna che ricatta il suo sottoposto obbligandolo a sposarla per non essere esiliata in Canada. So che sono stato un po’ prolisso 😉 ma, dopotutto, fior fiori di sceneggiatori hanno elaborato questo intrigo amoroso.
Sandra Bullock, in teoria, doveva comparire nuda (e già questo varrebbe i due euro del noleggio) ma, in realtà, si fa lavorare la fantasia in quanto non si intravede proprio nulla. Marketing beffardo, mi avete attratto con l’inganno. Ma ora basta gigioneggiare e parliamo SERIAMENTE del film (so che sarà dura ma il dovere lo impone).
Sandra alias Margaret risulta una copia sbiadita della Meryl Streep (peraltro insuperabile) de Il diavolo veste Prada che si diverte a calpestare Andrew, fedele tirapiedi che, per salvare il posto, accetta di sposare la redattrice con la testa di forma fallica (per non scadere nella volgarità).
Si troveranno un impiegato dell’ufficio immigrazione alle calcagna per verificare che il matrimonio sia vero e non una farsa per evitare di tirare puzzette con Trombino e Pompadour (South Park) in Canada.
Inoltre, dulcis in fundu, verrà portata in un remoto paesino dell’Alaska dove la famiglia di Andrew ha praticamente colonizzato e acquistato tutto ciò che era in vendita, diventando i Rockfeller di una ridente comunità boscaiola.
Praticamente un cinepanettone americano con tanto di trasferta tra verdi montagne e laghetti, con folti cagnolini che saltellano e tacchi a spillo che sprofondano nel letame utilizzato per concimare la verde terra.
Premesso che Garry Marshall (ideatore di Happy Days e regista di Pretty Woman) quando parlava della sua Cenerentola usava un tocco ed una maestria degna di nota, qui si va sul facilotto, sul blockbuster che deve vendere e puntare unicamente sulla bellezza dei due protagonisti, tanto la storia a chi importa?
La newyorkese algida ed impenetrabile si lascia coinvolgere dalla famiglia che lei non ha mai avuto (orfana a 16 anni, così giustifichiamo il carattere da donna in carriera e rendiamo felici le donne spettatrici) e capisce che perpetrare una truffa colossale con i gioielli di famiglia supera la sua miseria umana e abbandona. Tutto, di punto in bianco, rivelando a cani e porci il gran segreto e consegnandosi di sua spontanea volontà alle autorità.
Ma, nel periodo passato a belare a pecorella sul lettone con la coperta porta cicogna, ha capito che sputtanare famiglie non è divertente come pensava, raggiunge una maturazione degna di una mela sotto ogm: Andrew, dopo esser stato abbandonato nel granaio tra le cipolle e i topi che ballano nel fango, la rincorre e si dichiara in ufficio, davanti a tutti, con un bacio falso come delle Prada in spiaggia a 10 euro (si può fingere molto meglio), con lo scroscio d’applausi e le segretarie in calore dalla gioia.
Segue un finale che dovrebbe suscitare qualche risata, in quanto vediamo le risposte alle varie domande dell’accertatore dell’ufficio immigrati: le lacrime si versano solamente per i soldi spesi al noleggio e non per la neo-coppia che zompetta felice in preda a sfoghi ormonali.
Altre lacrime di solito le versa il fidanzato e/o uomo che assiste la donna nella visione di questi capolavori: l’uomo capisce che ha perso una serata di biliardo/freccette con gli amici e soffre profondamente, mandando entrambi gli attori ad evacuare abbondamente.
Il film in questione avrebbe dovuto rilanciare la Bullock ma, sinceramente, l’unica cosa che avrete voglia di lanciare dopo la visione della pellicola è il disco nel tritarifiuti aziendale da 30 pagine al minuto.
Compaiono anche gli extra con le scene tagliate e altre delizie salterine, ma dopo un’ora e mezza di banalità un bagno di vita reale è proprio quello che vi salverà dalla pazzia assoluta.
L’America tenta di regalare l’ennesimo sogno (visto il numero di divorzi statunitensi è difficile sostenere il contrario) ma toppa clamorosamente, nonostante Reynolds (Andrew) se la cavi abbastanza bene nel suo ruolo, salvando leggermente il film (il secondo salvatore sono le bellezze dell’Alaska).
Piccola analisi tecnica: la fotografia risulta banale, la colonna sonora è praticamente inesistente (come del resto la trama), i ritmi sono un po’ lunghetti (si potrebbe tagliare un quarto d’ora buono senza rimpianti), il voto che posso dare (in tutta onestà) è 5 (in una scala da 1 a 10).
Posso capire la crisi e l’esigenza di confezionare pellicole sicure dove nessuno rischia troppo (tra produttore e regista), ma sinceramente trovo Ricatto d’amore una storia fiacca e senza stimoli, un triste ricalco che sfrutta l’onda ormonale femminile per tenere la Bullock lonatana dalla vita pantofolaia.
Un consiglio? Con i soldi del noleggio prendetevi un gratta e vinci: perdete meno tempo e, almeno, avete la possibilità di fare qualcosa di utile.
Questa recensione vi è sembrata troppo dura? Potete sempre leggere l’opinione del Pompiere.
Voto: 4/10
Marco
Commenti su: "Ricatto… del biglietto" (1)
Ciao Marco,
complimenti per la recensione. Molto carica di humour e azzeccatissima per questo film 😉
cobain86–> Ringraziando per il commento spero che tu possa continuare a divertirti sul mio blog: molte altre recensioni sono in arrivo 😉