Perché le sigle dei cartoni italiani sono così importanti? Non sono solo “bambinate”? Buona lettura!
A few years ago
Da bimbo non frequentavo una compagnia di amici, anzi i miei amici si contavano su una sola mano e qualche dito avanzava.
Ancora oggi, a quasi 34 anni, i veri amici sono pochi, ma ho la fortuna di uscire con una compagnia mista (ragazzi/ragazze) da 12/14 persone.
Quando passi i pomeriggi ad aspettare qualcuno che non si presenta impari due cose:
- A distinguere gli amici dai conoscenti
- A sviluppare una cultura pop
In questi pomeriggi contemplativi, diciamo, tra una merenda con Nutella e i compiti, avevo una sola certezza: le sigle di Cristina D’Avena.
Magari il cartone non riuscivo a vederlo per intero (o non mi piaceva), ma per la sigla c’ero quasi sempre.
A inizi anni ’90 Bim Bum Bam stava entrando nella fase discendente, dove al di là di qualche siparietto con Bat Roberto ormai stava diventando una trasmissione di soli cartoni.
Però le sigle… le sigle mi sono entrate nel cuore, sono rimaste nella mia memoria e sono diventate una parte della mia identità.
Il 2020 e le sigle dei cartoni
Alle medie e alle superiori ascoltare le sigle dei cartoni era paragonabile al colera (i nerd non erano di moda e di bullismo se ne parlava poco), per cui mi sono dedicato per anni ad altre cose, altre tonalità.
Immaginate la mia sorpresa quando ho scoperto, finita l’università, che Cristina girava per l’Italia facendo concerti a man bassa. Stupore.
E la stessa cosa, ovvero la diffusione del verbo musicale “cartoon”, la faceva anche Giorgio Vanni. Doppio stupore.
Ho capito, grazie all’avvento di Big Bang Theory, che noi nerd potevamo essere rivalutati e condividere una cosa che sembra molto giapponese: le sigle dei cartoni.
Solo in Italia abbiamo una produzione così ricca di sigle per cartoni: molti altri Paesi prendono quelle originali o se ne fregano.
Noi no, dobbiamo cantarle tutte (grazie anche ad Alessandra Valeri Manera, che ne ha scritte più di 800).
Per cui, se i giapponesi hanno una sigla per ogni stazione ferroviaria, noi abbiamo una sigla per tutti gli anime passati sulle nostre reti nazionali.
Concludendo
Cantare le sigle vuol dire riscoprire noi stessi, le cose che abbiamo amato, la nostra identità.
Volete conoscere una ragazza o un ragazzo? Portatelo ad un concerto di Cristina: se canta ha avuto un’infanzia felice, almeno sotto questo punto di vista.
Chi non canta ai concerti di Cristina può avere tre motivazioni:
- Sta mentendo, in realtà le conosce tutte
- Non le sa davvero, ma può ancora acculturarsi
- Si ritiene superiore (questo decidete voi se è un difetto o no)
Vedere Cristina (in questa occasione era con i Gem Boy, che si sono censurati dai concerti che abitualmente tengono se lasciati senza freni) o Giorgio vuol dire cantare, emozionarsi.
Grazie a Cristina mi sono avvicinato agli anime giapponesi, scoprendo che (a differenza di quanto creda mio zio) non sono tutti violenti ed esistono anime molto sensibili e profondi: come in molti settori bisogna conoscere per saper scegliere. Se ci si ferma ad un giudizio superficiale è difficile esprimersi.
A Cristina devo tanto, perché grazie alla sua allegria mi ha sempre spinto a sognare, credendo che un mondo migliore fosse possibile.
Le sigle di Cristina, unite ad anime scelti con cura da Valeri Manera, mi hanno regalato una cosa di cui sono privati molti ragazzini d’oggi: l’infanzia, dove affronti molte cose con una bella canzone.
Grazie Cristina e al prossimo concerto!
E per voi cosa hanno significato le sigle di Cristina? Se volete condividere le vostre storie lasciate un commento, grazie!
Marco
Credits: foto scattate al Nerd Show di Bologna, 09/02/20.
Rispondi