Negli ultimi anni è scattato un desiderio irrefrenabile ed insensato per queste console miniaturizzate.
Ma è tutto oro quello che luccica? Valgono i soldi spesi? Scopriamolo insieme, buona lettura!
Erano gli anni ’80 (o giù di lì)
Le console miniaturizzate e/o re-ingegnerizzate per tenere la metà del posto non sono una novità: da quando uscì il Nintendo nei primi anni ’80, per i mercati che non potevano permettersi l’originale della casa nipponica, sono usciti milioni di cloni Famicon che, sostanzialmente, svolgevano lo stesso lavoro in meno spazio ma con plastiche orrende.
Negli anni successivi, crescendo, un mio amico mi fece scoprire il mercato clandestino delle ROM: milioni di ROM dei giochi originali per queste console pubblicate su siti come EmuParadise, per emularle sul computer di casa.
Quando non si può usare l’hardware originale, infatti, per vari motivi (console distrutta, bruciata, seppellita dalle macerie, combustione spontanea) basta un emulatore scritto bene per rivivere le emozioni a 8, 16, 32 e 64 bit che hanno accompagnato la nostra infanzia.
Di emulatori ce ne sono tanti (per Mac vi straconsiglio l’ottimo OpenEmu, un progetto che simula tante console in una) e, per anni, le persone hanno scaricato ROM ed emulatori relegando la questione copyright in secondo piano (sono giochi vecchissimi a cui non importa più a nessuno).
Al contadino non far sapere quanto è buono il joystick vintage tra le pere
Il contadino, in questo caso Nintendo, ha colto i segnali di un’operazione nostalgia e ha pensato bene di spennare i propri polli ancora una volta.
Con il NES Mini, infatti, ci ritroviamo un hardware scadente piazzato in una scatola perfetta e venduto alla bellezza di 100 euro, alimentatore escluso.
Quando dico scadente non è denigratorio ma realistico: 256 MB di RAM, 512 MB di memoria per i giochi e processore anti-diluviano.
Ciò che Nintendo ha capito, a differenza dei concorrenti, è stato curare l’interfaccia: un’interfaccia che riporta subito agli anni ’80, con la cura e fedeltà tipica dei prodotti Nintendo.
Tuttavia il fatto che sia un’operazione a risparmio è lampante: 30 giochi su un parco titoli che sfiora varie centinaia di opzioni disponibili risulta veramente misero.
E, per essere sicuri che fosse blindata, anche l’opzione dell’online con la possibilità di scaricare giochi vintage extra, non è presente (lo sarà forse nel Nintendo 64 Mini, che ancora stiamo aspettando).
E la truffa si palesa ben bene…
L’anno successivo, vedendo le richieste incessanti del primo modello, hanno ripubblicato lo stesso hardware con una confezione diversa, aggiungendo un secondo controller (miracolo!). Peccato che a farne le spese in tutto ciò siano stati i titoli: 20+1 titoli ripubblicati, anziché 30 come nella prima versione.
A quanto pare i consumatori hanno annusato che c’era qualcosa di marcio e le vendite si sono calmate con la seconda riedizione, perché a tutto c’è un limite.
Sony, con la sua Playstation Classic, ha fatto anche di peggio: prendendo un emulatore open source ha adottato la stessa formula, risparmiando sull’interfaccia (i dischi demo per la prima Playstation erano realizzati meglio, e non dico altro) e sui controller, realizzandoli in modo plasticoso rispetto agli originali semi-indistruttibili.
Dulcis in fondo solo 20 giochi (tra cui mancano Spyro, Crash, GT e Tombi, solo per citarne alcuni) tra cui, per fortuna, sono stati inseriti Tekken 3 e Final Fantasy VII, un capolavoro.
Ma, detto questo, la console non si può collegare ad internet per scaricare nuovi giochi e rimaniamo con una soluzione limitatissima e con un pad senza analogici.
Al di là di un’evidente comodità motoria togliere gli analogici restringe parecchio la lista di giochi disponibili, aumentando la scomodità su titoli come Crash 2 e 3, per esempio.
Se parliamo di titoli Dual Shock only, come le incarnazioni successive di Gran Turismo, non c’è partita.
Si poteva far meglio?
Sul fatto che le case costruttrici non vogliano mettere gli alimentatori, al di là dei discorsi di Greta e dell’inquinamento elettronico, posso essere d’accordo.
Basta un caricatore smart che riconosce il prelievo energetico differente a seconda del dispositivo e siamo a posto (io uso questo della RavPower e con 14 euro carico qualsiasi cosa, dal telefono ai controller PS4).
Sony è stata punita dalla sua stessa avarizia: essendo un emulatore open gli hacker hanno impiegato dieci secondi a caricare i giochi da una chiavetta USB (e senza violare il sistema, per cui l’hacking viene servito su un piatto d’argento). Inoltre i giochi a 32 bit, con i primi rozzi tentativi di 3D, sono invecchiati maluccio rispetto alle controparti in 2D, brillanti e sfavillanti ancora oggi.
Cosa abbiamo imparato?
Sony, Nintendo, NeoGeo, C64… la marca non importa, il modus operandi è sempre lo stesso.
Scatole economiche che, tramite emulatori esistenti e funzionanti open source, riproducono i fasti del passato in confezioni “magiche” per centinaia di euro.
Valutando i controller più piccoli, cavi controller cortissimi (non superano mai il metro), la mancata alimentazione autonoma e la ristrettissima lista di giochi (legalmente, poi i modder sono dietro l’angolo) onestamente sono soldi buttati nel cestino.
Passata mezz’ora queste mini console diventano dei bellissimi soprammobili con cui nessuno giocherà, per via della scomodità dei controller e per la scelta limitata.
Potevano far molto e si sono limitati a fare il minimo sindacale, un pelo sopra alle console amatoriali realizzate con Raspberry e compagnia bella.
Volete provare il retrogaming? Acquistate le console usate, fate prima.
Oppure, come faccio io, se avete una console recente (la PS4, ma su Xbox e Switch il concetto è identico), acquistate dallo Store le versioni rimasterizzate dei vostri classici preferiti.
È vero, spenderete quei 10/15 euro a gioco, ma li potrete giocare dal vostro divano con un controller wireless in piena comodità e definizione.
Occhio al portafoglio, come sempre!
Marco
Vettoriali realizzati personalmente con Affinity Designer!
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