Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

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La Fox anticipa la Disney nella biografia legata a Christopher Robin: molte luci, compensate da altrettante ombre. Buona lettura!

La trama

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1941. AA Milne, il padre di Billy Moon, il gaio bambino che apre con il suo sorriso questo articolo, vive di sindrome post traumatica legata alla guerra. Lo scoppio di un palloncino o il rumore delle zanzare lo manda in bestia, scatenando istinti omicidi o di sopravvivenza.

Alla ricerca del prossimo best-seller, Milne pensa di scrivere un libro sulla guerra e della sua eventuale assenza, qualcosa da estirpare nel mondo per sempre.

Mentre si arrovella la moglie si trasferisce perché stufa della sua pigrizia creativa e la governante scappa ad accudire la madre malata. Rimane solo col figlio.

Si dedicano a giochi spensierati e passano giorni indimenticabili insieme: nel mentre trae ispirazione per Winnie The Pooh e tutta l’allegra brigata.

Ma il successo travolgente, i milioni che entrano a palate e la celebrità hanno sempre un prezzo da pagare.

Il film

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Grazie al ritardo italiano (il film è uscito il 4 gennaio 2018 in Italia ma il 19 ottobre 2017 negli Stati Uniti) è stato possibile realizzare screenshot decenti per testimoniare la bellezza della pellicola.

Onestamente non capisco il senso del titolo italiano: l’americano Goodbye Christopher Robin mi sembra che, oltre ad essere comprensibile per noi italiani, incarni perfettamente lo spirito del film: nell’attesa che il figlio rientri dalla seconda guerra mondiale voliamo indietro nel tempo per capire com’è nato il personaggio di Christopher Robin.

Ma lo scopo del film (e del ragazzo) è liberarsi di Christopher Robin: sostanzialmente, anche se ha fatto gioire tanti piccoli nanetti nel mondo, a Billy Moon ha rovinato la vita.

Quindi Goodbye è la parola corretta.

Ancora prima che Disney intingesse le sue mani unte nei libri di A.A. Milne, per trasformare questo dolce orsetto in un marchio industriale con cui produrre letteralmente qualsiasi cosa (dalle pantofole pelose agli spazzolini da denti per non parlare, ve ne ricorderete sicuramente, dei Pooh minuscoli da attaccare al cellulare), il libro di Pooh era già un successo mondiale.

Dopo si è trattato di adattarlo ai canoni Disney (un disegno morbido e arrotondato, con un tratto leggermente spesso per conferire dolcezza) e di pagare, ovviamente, i diritti all’autore per poter realizzare una macchina sforna-soldi incredibile. Winnie the Pooh è più amato e popolare di Topolino e Paperino messi insieme.

Stampato per milioni di copie, tradotto in mille Paesi, Winnie ha girato il mondo come neanche Gulliver o Colombo hanno saputo fare. Ancora oggi Winnie The Pooh, da una statistica recente, è il libro per l’infanzia più amato al mondo (battendo quindi Il Piccolo principe, Pinocchio e altri grandi classici).

Il prezzo della celebrità

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Tutto questo si è trasformato, per Billy Moon, nella perdita della sua infanzia: il suo orsetto e i suoi giochi sono diventati un bene della comunità, perdendo privacy e un po’ della sua identità.

I genitori, infatti, troppo preoccupati a cercare una tata da assumere, passano pochissimo tempo col figlio, delegando conto terzi la crescita e l’educazione del pargolo.

I ricordi più belli del padre “Blue” e di Billy sono quei due/tre giorni passati a giocare in modo scanzonato nel bosco (Il Bosco dei 100 acri), da cui il padre ha attinto a piene mani per scrivere uno dei libri per l’infanzia più venduti nella storia.

Billy Moon si ritrova così, nonostante la sua giovane età, ad essere travolto dal successo: interviste, autografi, un ridicolo vestito da indossare per mantenere la coerenza con il libro, sfamare un orso dello zoo per la foto copertina e altre amenità.

Senza contare il fatto che, una volta arrivato a scuola, è stato preso di mira dai compagni invidiosi della sua fama e ricchezza, denigrandolo per via della sua “infanzia pubblica” e del suo orsetto.

Il figlio, esasperato da questa situazione, chiede un po’ di anonimato e il padre smette di scrivere: ad oggi non ha ancora toccato un centesimo del patrimonio di famiglia, vendendo libri a Devon, felicemente sposato. Billy sostiene che stava giocando con suo padre e non vuole incassare il frutto della sua spensieratezza. Il padre, giustamente, insiste perché è merito suo se è riuscito ad arricchirsi in modo osceno.

Speriamo che un giorno apra gli occhi, prenda il bancomat e decida di prendersi una fetta del patrimonio miliardario della famiglia.

Conclusione

Cinque peluche, un figlio che saltella nel bosco erboso e un geniale scrittore: un mix perfetto per creare un capolavoro della letteratura infantile.

Io stesso sono cresciuto con le videocassette di Winnie Pooh, riscoperte più tardi grazie a figli (altrui) e nipoti; ad oggi mi parte la voglia di un lanciafiamme solo sentendo la sigla “Amico Winnie”.

Mi ricordo dei pomeriggi passati sul divano, della mia curiosità verso quel mondo incantato dove gli animali di pezza interagivano col mondo reale in avventure strambe, bislacche ma sempre molto dolci e affettuose.

Purtroppo per la nostra felicità è stata sacrificata parte dell’infanzia di Christopher Robin (che, sul finale, dopo aver visto gli orrori della guerra, capisce di aver trascorso un’infanzia bellissima) e la loro intimità familiare.
I loro giochi sono diventati di pubblico dominio e sono acquistabili, a peso d’oro s’intende, nei Disney Store di tutto il mondo.

Margot Robbie, scatenata Harley Quinn in Suicide Squad, qui interpreta la mogliettina decisa che tiene in riga il marito; verso il figlio ha un atteggiamento affettuoso ma preferisce che venga gestito in outsourcing, ribadendo alla tata che “è quasi morta per darlo alla vita”.

Un film per riflettere sulla nostra infanzia, sul valore di essa e sulla genesi di un mondo dolce, incantato e unico: prima della Pixar con Toy Story Winnie The Pooh aveva già centrato l’obiettivo.

Winnie è tonto, si ingozza di miele e ha il pancino che brontola sempre ma incarna, dopotutto, l’orso con cui abbiamo dormito da piccoli tutti quanti: è uno di casa.

Buone le musiche, recitazione discreta e i retroscena (romanzati) di un grande successo: il fatto che sia distribuito da Fox e non da Disney evita edulcoranti eccessivi, come la gente che balla provando piacere attaccandosi ai lampioni (notorie toilette per cani dai tempi di Nerone).

Da vedere assolutamente, anche se la distribuzione è un po’ lacunosa (a Carpi non è ancora giunto): un piccolo pezzo di storia che fa parte di tutti noi.

Voto: 8,5/10

Marco

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