Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

Tolo Tolo

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Luca Medici torna al cinema con la sua ultima fatica: ne varrà la pena? Buona lettura!

La trama

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Un giovane imprenditore pugliese, nato e cresciuto a Spinazzola, decide di portare cultura e civiltà al paese, proponendo Murgia & Sushi, un’iniziativa che risulta fallimentare già in partenza vedendo la reazione dei due gioiosi pensionati sottostanti.

Quando il mese successivo si ritrova con il pignoramento, gli avvocati e il sequestro coatto decide di scappare in Africa; qui, tra vanità e stupido consumismo, diventerà lui stesso un migrante, conoscendo persone migliori di lui (come spesso succede in questi film) e affrontando (si spera) un percorso di crescita personale.

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Il film

Luca Medici si mette dietro alla camera da presa questa volta, rinunciando alla visione di Gennaro Nunziante e chiedendo il supporto, nella stesura della sceneggiatura, a Paolo Virzì.

Scompare Rocco Papaleo, bravo attore e ottimo caratterista, lasciando il vuoto: ritroviamo le battute di Checco senza un eco, senza un supporto dall’altra parte, che spesso risultano vuote e fuori contesto, specie quando vuole ironizzare tra l’F16 (un caccia militare) e l’F24, il modulo per pagare le tasse.

I rigurgiti fascisti
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Checco spiega che il fascimo è dentro ad ognuno di noi, è pronto a venir fuori non per il colore della pelle, ma per far fronte alle difficoltà.

Al di là di questa frase che può avere varie interpretazioni (su cui non mi soffermo) Checco unisce ai tanti luoghi comuni anche quello delle marcette del Regime, aumentando così il senso di vago e di confusione nello spettatore, che si ritrova questi accenni che non vengono mai sviluppati nel profondo, ma vengono lanciati come flash e, nel giro di una scena, parliamo di tutt’altro.

ToloTolo_6Non c’è l’analisi critica e la maturazione di un’ideologia come compare in Mio fratello è figlio unico: no, ci ritroviamo citazioni random di fascismo fatte da una persona che, a ben vedere, non si rende conto bene di quello che dice, cambiando idea come il vento.

Il personaggio stesso è quanto di più lontano possa esistere in Terra dall’idea di fedeltà e patria, essendo attaccato ai paradisi fiscali come una cozza allo scoglio.

Il tema dell’immigrazione

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Il tema dell’immigrazione viene trattato con la consueta leggerezza, senza preoccuparsi di scavare troppo a fondo: non ci sono grossi drammi nel film e, perfino quando ci troviamo in un campo di detenzione libico, tutti sono tranquilli a dormire (andate a vedere i video delle Iene o di altri giornalisti e vi renderete conto che non è affatto così).

La violenza scompare per far posto ai luoghi comuni e alle battute di Checco che, oltre ad essere fuori luogo in un posto simile, cancellano la profondità e il senso del messaggio.

Lo stesso viaggio come migrante diventa una gitarella su una barca ben sistemata, anziché su un barcone putrescente come avviene nella realtà, con persone che abbaiano ordini con un fucile.

Zecchino d’Oro e dintorni

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Per completare questo circo dove vediamo accenni al mondo onirico felliniano (ma rimangono tali, non preoccupatevi) chiudiamo in bellezza con una canzone stile Zecchino d’Oro sporcaccione, come se per il resto del film non avessimo già cantato abbastanza.

Anche qui la commistione di generi sfocia nell’assurdo, non capendo il senso di trasformare il set in Disneyland per spiegare ai bambini il razzismo. Mah.

Concludendo

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Il film, causa probabilmente lockdown, ha incassato meno degli altri (quasi 50 milioni di euro a fronte degli oltre 100 dei precedenti), venendo battuto perfino dai Me contro Te, idolo dei putaciotti su Youtube.

Il film tenta la strada onirica alla Fellini, mescolando sogno e realtà, farcendola di musicarelli anni ’60 di cui avrei fatto molto volentieri a meno, trasformandolo in incrocio (a mio parere malriuscito) tra Disney e il grande maestro Federico.

Le citazioni o si fanno bene o si lascia perdere: quando Tarantino, maestro della citazione, attinge a piene mani dagli anime giapponesi, dai film di Hong Kong degli anni ’60, dal western di Leone e così via lo fa in modo coerente con il resto del film.

Non si avverte il distacco che sentiamo in questo film, dove veniamo sballottati a destra e manca (un po’ come i migranti rappresentati) senza capire bene dove stiamo andando.

Troviamo, a onor del vero, qualche citazione profonda alla Kennedy, ma nel caos del film ci sta: ormai siamo in ballo e balliamo.

Non tutto è perduto

Se volete vedere un film che parla di immigrazione in modo serio, maturo e consapevole (mantenendo ovviamente una sana dose di ironia) guardate il film di Albanese Contromano, che verrà recensito domani sempre su queste pagine.

Meno pubblicizzato, meno pompato ma decisamente migliore, sotto ogni punto di vista. Il dolore rappresentato è reale, c’è la consapevolezza dell’immigrato e del negoziante, c’è la crescita personale del protagonista. Altro stile, altra visione, tutta un’altra storia.

Tolo tolo rappresenta un nuovo stile per Zalone, che prova a fare di più ma confonde, non affonda a dovere su certi argomenti e lascia un senso di incompiuto.

Virzì collabora alla sceneggiatura ma, non essendo il suo film, non può esercitare quel controllo creativo tra il cinico e il romantico che ci ha spinto ad amare la sua filmografia.

La pellicola cita a destra e manca tante cose, per poi lasciarle nel limbo della nostra mente a sedimentare, fino alla fine del film dove ci chiederemo perché non abbiamo coltivato cipolle e patate quella sera, anziché andare al cinema.

Voto: 7/10

Marco

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