Una tastiera come tavolozza, la fantasia come tela

Il castello dei sogni

Lego_Castello

Un castello dei sogni, un camino acceso e il desco familiare: Natale è anche questo. Buona lettura!

Iniziava tutto con la caduta della prima foglia rossastra, verso ottobre.
Con l’arrivo dell’autunno arrivavano le martellanti pubblicità sui canali commerciali con ogni sorta di balocco immaginabile: l’allegro chirurgo, Batman, le prime tartarughe Ninja (quelle belle rotonde, non gli aborti poligonali che siamo costretti a vedere oggi), il Sega Mega Drive, il Dolceforno che appiccava fuoco a tutta la casa…

Mentre camminavo per la piazza del mio paese c’era un solo regalo che tutti guardavamo con dedizione: il castello dei Lego.
Il mio naso lasciava un curioso alone sulla vetrina del tabacchino che esponeva il prezioso giocattolo, 100.000 lire pronta consegna.

Cavalieri, cavalli, fortezze, aveva tutto ciò che un bambino poteva desiderare. Guardavo nelle mie tasche (e soprattutto in quelle dei miei genitori) e sapevo che era un signor regalo, che probabilmente non avrei ricevuto. Non avendo una forte passione per i Lego, forse temendo di non saperlo montare (errore mio), non lo chiesi neanche.

Il mio amico, con la mente di un cinquantenne a 8 anni, dopo aver stilato un report delle spese domestiche sul sacchetto di carta bisunto del supermercato, sapeva che era una spesa inaffrontabile per la sua famiglia e quindi si asteneva in modo preventivo.

Tralasciando il fatto che a 8 anni si dovrebbe pensare, giustamente, a giocare e non ad elaborare preventivi di spesa, il castello Lego per me è rimasto un mito, una costruzione con cui spero di cimentarmi con la mia progenie un giorno.

E così, mentre i fiocchi di neve scendevano imbiancando il paese, la piazza e gli anziani signori che posteggiavano sulla panchina sorvegliando l’intero villaggio, io camminavo, da solo, ascoltando il fragore della neve che si scioglieva sotto i miei passi incerti e ansiosi di un futuro migliore.

Ripenso con affetto a quel castello, alle ore passate a giocare guardando Bim Bum Bam mangiando pane e Nutella (nonostante contenesse olio di palma sono ancora vivo), ai pomeriggi dove appoggiavo il naso alla finestra in attesa che l’amico che aveva promesso di giocare con me si presentasse, spesso attendendo invano.

Il problema nasce dall’aspettarsi qualcosa da persone che ritenevi amiche, ma che di fatto non lo sono. Sono solo conoscenti, flash di passaggio, lucciole che volano via al cambio del vento. Non puoi fare affidamento su di loro, ma un bimbo di 8 anni, ovviamente, non può comprendere tutto questo senza la dovuta esperienza.

Mi consolavo giocando con Batman, con un castello di He-Man ereditato dai vicini di casa e con le automobili che mia madre mi regalava quando andavo all’asilo, quasi ogni mattina un modello diverso. Le conservo con affetto, ripensando a questi momenti.

Come sfondo musicale di questi momenti, oltre a Baglioni, Morandi, Battisti e De Andrè che ascoltavano i miei genitori nelle varie attività casalinghe, ricordo lo scopiettare del fuoco dato da una vecchia stufa a legna, laccata in bianco, dove appoggiavo l’acqua per farla bollire.

Il crepitio dei ceppi e il calore puro, naturale, penetrante di quel fuoco era una dolce consolazione al freddo invernale, un abbraccio caldo nel quale tornare ogni giorno dopo aver pranzato da mia nonna con salsicce annegate al vino e riso in brodo, talmente allagato che dovevo mettermi gli stivali di gomma per andarlo a pescare tra serpenti e piranha.

Ricordo l’attesa fremente, spasmodica del Natale, contando i singoli giorni, nell’attesa di vedere cosa Babbo Natale aveva in serbo per me.

Erano momenti magici, dove tutto poteva ancora accadere, dove non avevi l’incubo del portafoglio e l’obbligo del rendiconto. Era un momento in cui potevi sognare e, a fronte di piccole delusioni quotidiane (per quante ne possa avere un bambino che frequenta le elementari), riscattarti e ritagliarti dei momenti speciali con la tua famiglia.

Andavamo a messa il 24 dicembre, con i miei genitori e, se mi capitava, vedevo anche qualche compagno/a di classe. Tornavamo a casa, preparandoci spiritualmente per l’abbuffata animale del 25 a pranzo, con sette ricoverati al pronto soccorso già prenotati, e andavamo a dormire.

Il mattino seguente, come promesso, trovavo il regalo di Babbo Natale che mi attendeva sulla stufa a legna della sala, rifinita in ottone e con il focolaio a vista, con la stessa impostazione dei caminetti tradizionali.
Ovviamente la stufa era spenta, altrimenti sarebbe bruciato carbonizzato in pochi minuti, considerando che i giocattoli sono al 90% plastica.

Un regalo pensato, studiato, ricercato dai miei genitori dedicando tempo, soldi ed energie per reperirlo. Non la solita cinesata presa nel negozio dei cinesi tutto a 50 cent o il gadget preso di fretta durante lo shopping natalizio, con tanto di prezzo ancora attaccato sul fondo della ceramica, lasciato lì nella noncuranza e nel menefreghismo generale.

A volte trovavo Batman, Emiglio il robot maggiordomo (batterie da 6 kg cadauna a parte, ovviamente) che trasmetteva la tua voce, era radiocomandato e aveva la presa di un babbuino cieco, un’altra volta era un Lego (più piccolo del castello, ovviamente) ma bello lo stesso.

C’era un calore e un’attenzione in quei regali che effettivamente pensavi a Babbo Natale, solo degli elfi potevano aver lavorato in modo così minuzioso.

E quindi, in un anno come questo dove se vedo il Babbo Natale aziendale lo inseguo con il lanciafiamme al plutonio impoverito, è bello ricordare di come le cose erano semplici, pure e romantiche fino a qualche anno fa.

Buon Natale a tutti

Marco

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