Visto che siamo in pieno revival anni ’90 perché non donare un seguito al classico Space Jam? Ma ne sarà valsa la pena?
Buona lettura!
La trama
LeBron James è un campione indiscusso di basket, l’erede morale di Michael Jordan.
Avendo cestinato un Game Boy usato nel 1998 ha deciso che tutto quello che riguarda la tecnologia è il male in terra e vuole che i suoi figli siano campioni di basket sforna soldi esattamente come lui (nel film non è esplicito ma ehi, parliamo di americani e basket… il discorso va da se).
Il secondo figlio ha un talento per i videogiochi: a 12 anni ha già scansionato con un’app gli amichetti di papà dell’NBA e ha realizzato il suo videogioco.
Il padre vede questo come una perdita di tempo, lui deve continuare a palleggiare vita natural durante.
Tuttavia una misteriosa coincidenza li porterà nel mondo dei Looney Tunes, dove capirà che nella vita c’è altro oltre al basket e che ognuno di noi, anche se non maneggia delle palle tutto il giorno, ha un talento diverso.
Cenni storici
Uscito nel 2021 è stato sicuramente molto atteso da chi, come me, nel 1998 (pur non essendo un tifoso di basket) ha amato il primo ed unico Space Jam.
Nel primo film lo scopo era pubblicizzare le Air Max della Nike (compito riuscito in pieno, vedendo i prezzi) mentre nel secondo, pur vedendo citazioni del baffo Nike, si sponsorizza l’intero universo Warner Bros. Un film autoreferenziale dove si spiega che oltre al monopolio Disney c’è un mondo differente in cui credere.
Per ricordarci i franchise Warner Bros c’è un’astuta panormaica tra pianeti diversi, dove vediamo Il Trono di Spade, Harry Potter e finalmente anche Matrix, dove la nonnetta interpreta Trinity, suscitando risate fino alla commozione.
Il citazionismo è portato ai livelli estremi: in un modo o nell’altro scopriamo che anche l’universo DC fa parte del mondo Warner, ritrovando così brand come Superman, Batman, Wonder Woman e compagnia bella.
Parlando di pipistrelli andate a vedere il nuovo Batman: a differenza di Morbius non è stato massacrato dalla critica ed è veramente un bel film che si prende sul serio, ben lontano dagli ultimi film Marvel dove si scherza ogni due secondi prendendo tutto in burletta. Soldi spesi bene, fidatevi di me.
Excursus a parte il film è girato in modo “classico” ma svolge egregiamente il suo compito: storia lineare, ritmi giusti, molte scene veramente buffe (non come il balletto degli scorpioni ne Gli Animali Fantastici – I segreti di Silente, visto il pomeriggio del 25 aprile, che ho trovato patetico e imbarazzante) che richiamano spesso il primo film ma aggiungendo un messaggio per i ragazzi presenti in sala.
Il messaggio del film
Se nel primo film c’era il dramma di Jordan che voleva giocare a baseball (con risultati imbarazzanti), qui il dramma è più sottile, è un conflitto generazionale. Essendo lontani i tempi de L’attimo fuggente (Dead Poets Society) nessuno viene preso a cinghiate contando a voce alta, però il dramma si sente ed è forte.
É chiaro fin dai primi istanti che a Dom, il figlio di James LeBron, non frega una ceppa di far girare le palle in campo ma il padre è sordo e insiste oltre ogni misura per farlo giocare a basket, quando persino la madre gli suggerisce di essere un padre e non un coach che lo allena a fischietto e croccantini.
Dovendo trasmettere questo messaggio a bambini e adolescenti in sala (oltre ai nonnetti come me che erano adolescenti nel 1998) bisogna portare il dramma alle conseguenze estreme, per cui c’è il sequestro di varie persone, la cancellazione dei Looney Tunes, del mondo come lo conosciamo ora e le solite minacce campate in aria dal cattivo di turno.
Non stiamo guardando Matrix o Il Signore degli Anelli per cui il nemico ha sempre un risvolto comico: i nemici dei Looney Tunes sono solo più stupidi e potenti ma non spaventano mai davvero. Gli eroi, che spesso si alternano a seconda della situazione, sono solo più furbi e scaltri del villain di turno, cavandosela con eleganza e simpatia.
Le note negative
Il film purtroppo cerca di parlare due linguaggi diversi (sia per adulti, con le mille citazioni, sia ai bambini, con gag basilari) senza sostanzialmente riuscirci.
I Looney Tunes diventano macchiette che interpretano altri personaggi ma tutte queste citazioni mostrano solo un vuoto creativo: il fatto stesso di passare da un mondo all’altro senza soluzione di continuità spiazza un po’ lo spettatore.
Il messaggio, seppur bello “Sii sempre te stesso”, si conclude lì. Non ci sono meta messaggi o sotto trame come nei film Pixar, che ti rende piacevole la visione di questi film soprattutto da adulto, per il livello di complessità e analisi proposto (vedi il caso di Fievel sbarca in America, un esempio di animazione indipendente diretta da Spielberg).
Il film quindi diventa un enorme commercialata (come il primo) e si divide in 3 parti: live action, un 2d stupendo e coloratissimo (realizzato al pc e rifinito in modo analogico per renderlo ancora più fluido) e nella fase della partita un 3D un po’ imbarazzante.
Warner Bros si è basata sulle analisi di mercato e ha visto che i personaggi devono essere in 3D per catturare un certo tipo di pubblico e quindi via alla conversione ma in alcuni casi rimanere legati alla tecnica tradizionale rimane la strada migliore.
Rispetto al primo gli incassi sono stati ben più modesti, ripagando di pochi milioni le spese di produzione del film. Probabilmente questa confusione legata a personaggi basilari e/o appiattiti come nel caso dei Looney Tunes non è piaciuta al pubblico, che ha capito l’enorme spot autoreferenziale verso i franchise Warner Bros.
Quando a LeBron James nel film propongono di diventare parte del franchise Warner Bros vediamo, sostanzialmente, un sunto del film e già lì lui ammette che non è una buona idea: probabilmente investendo di più nella costruzione dei personaggi, nella costruzione di una sotto trama anche per gli adulti in sala e non un meme continuo avrebbe aiutato decisamente le sorti del film.
Purtroppo si sono limitati al citazionismo senza proporre nulla di nuovo o rielaborare il concetto, basandosi solo sui nomi inseriti e sulla popolarità di James LeBron.
Michael Jordan, passato il primo film, si è rifiutato di fare il secondo, probabilmente fiutando un possibile flop.
Concludendo
Un film molto dolce, divertente e toccante verso il finale, scanzonato quanto basta ma con un bel messaggio e un ritmo incalzante che ci fa galoppare fino alla fine in allegria, nonostante duri quasi due ore.
Un modo eclettico per ricordarci tutti i franchise Warner Bros che ci hanno fatto innamorare e/o hanno accompagnato la nostra infanzia (Harry Potter, Il Gigante di ferro, King Kong, universo DC, Yoghi e Bubu, Il Signore degli Anelli, Il trono di Spade, M A T R I X e via elencando)… un universo alternativo a Disney che, spesso, in molti casi risulta molto più divertente o interessante per questa contrapposizione sfacciata e un po’ ribelle.
Non fraintendetemi, amo i film Pixar e anche alcuni della Disney compreso la serie del 1991 di Winnie the Pooh, compagna dei miei pomeriggi sul divano con mia madre e il videoregistratore.
Ma gli Animaniacs di Spielberg, la trilogia di Matrix (sull’ultimo stendiamo un velo pietoso, speriamo nel 5 se ci sarà), Il Signore degli Anelli e i Looney Tunes fanno parte di me in egual modo, anche se si presentavano nella mia vita come intermezzi, in modo quasi fuggitivo.
Peccato per i soliti stereotipi informatici (il tipo del pc, spacchiamo Internet e altre oscenità) ma essendo un film per ragazzi glielo lasciamo passare, dai.
Il film risulta un omaggio a questo mondo di creature fantastiche: non è certo un capolavoro ma merita assolutamente due ore la domenica pomeriggio sul divano a cioccolata calda e pop corn.
Voto: 6/10
Marco
Rispondi